Procedimento amministrativo e indennizzo da ritardo

Procedimento amministrativo e indennizzo da ritardo

Una delle questioni non risolte del sistema Italia è l’efficienza della burocrazia. Sono usuali le lamentele per i ritardi, gli sprechi e l’inadeguatezza dell’apparato amministrativo. Da più parti si rilevano con sempre maggiore insistenza anche le ricadute negative sull’economia.


Eppure regole chiare sono contenute nella Costituzione. L’art. 97 primo comma Cost. prevede che: “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”. Tale norma costituzionale pone tre principi: riserva di legge, buon andamento e imparzialità. La riserva di legge indica che gli uffici pubblici devono essere regolamentati dalla legge; si tratta di una riserva relativa: è sufficiente che la legge ponga i principi fondamentali e i criteri informatori della materia, mentre la disciplina di dettaglio può essere contenuta anche in norme secondarie (ad esempio in regolamenti). Il principio del buon andamento indica che l’azione amministrativa deve svolgersi con speditezza, economicità e adeguatezza ai casi concreti. L’imparzialità significa che la pubblica amministrazione deve trattare casi simili in modo simile e casi diversi in modo diverso, nel rispetto dell’interesse generale e senza indulgere in favoritismi. E’ chiaramente una applicazione nella materia della pubblica amministrazione del fondamentale principio di uguaglianza posto dall’art. 3 Cost. (il cui primo comma recita “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”).
Le buone intenzioni dei Padri costituenti non sono, purtroppo, state tradotte in atto e la pubblica amministrazione italiana presenta gravi lacune, che sono rimaste invariate nonostante una miriade di interventi normativi.
Un recente tentativo è contenuto nel c.d. “Decreto del fare”, nome politico-giornalistico per indicare il decreto-legge 21 giugno 2013 n. 69 recante “Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia” (convertito con modifiche con legge 9 agosto 2013 n. 98).
Il capo I del titolo II del “Decreto del fare” (artt. 28-49 quinquies) contiene “Misure per la semplificazione amministrativa”. Il fatto che riforme della pubblica amministrazione siano contenute in un testo normativo espressamente finalizzato al “rilancio dell’economia” è indice del già segnalato collegamento tra andamento dell’economia e efficienza della pubblica amministrazione.
In questa sede intendiamo analizzare una di tali misure, che, secondo le intenzioni del legislatore, dovrebbe incidere sull’efficienza complessiva della pubblica amministrazione. Si tratta dell’indennizzo da ritardo nella conclusione del procedimento amministrativo. Il primo comma dell’art. 28 del “Decreto del fare” prevede che la pubblica amministrazione procedente o, in caso di procedimenti cui intervengono più amministrazioni, quella responsabile del ritardo e i soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative, in caso di inosservanza del termine di conclusione del procedimento amministrativo iniziato ad istanza di parte, per il quale sussiste l’obbligo di pronunziarsi, con esclusione delle ipotesi di silenzio qualificato e dei concorsi pubblici, corrispondono all’interessato, a titolo di indennizzo per il mero ritardo, una somma pari a 30 euro per ogni giorno di ritardo con decorrenza dalla data di scadenza del termine del procedimento, comunque complessivamente non superiore a 2.000 euro.
Per comprendere tale norma occorre considerare che in materia di procedimenti amministrativi vi è un obbligo di conclusione entro il termine previsto. Tale obbligo è previsto in via generale dall’art. 2 della legge 7 agosto 1990 n. 241, recante “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”. In particolare il secondo comma di tale articolo prevede che “i procedimenti amministrativi di competenza delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali devono concludersi entro il termine di trenta giorni”, salvo che particolari disposizioni di legge stabiliscano un termine diverso.
Quali sono le conseguenze per il ritardo nella conclusione del procedimento amministrativo?
In primo luogo nei casi di inerzia della pubblica amministrazione è possibile agire dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale competente, il quale ordina all’amministrazione di provvedere, nominando eventualmente anche un commissario ad acta, il cui compito è sostituirsi all’amministrazione nell’emanare il provvedimento.
Ma vi sono anche conseguenze economiche per la pubblica amministrazione. La legge 18 giugno 2009 n. 69 (recante “Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile) ha introdotto l’art. 2 bis della legge 7 agosto 1990 n. 241, il cui primo comma prevede che le pubbliche amministrazioni e i soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative “sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento”. E’ intuitivo che il ritardo della pubblica amministrazione può produrre un danno, il quale deve essere, pertanto, risarcito.
Il “Decreto del fare”, fermo restando il diritto al risarcimento, ha introdotto l’indennizzo per il ritardo. L’indennizzo, previsto dal citato art. 28 del testo in questione, è una somma forfetariamente stabilita, che è dovuta per il semplice ritardo, non essendo necessarie né la prova di avere subito un danno né la prova del suo ammontare. Se la persona lesa prova di avere subito un danno ulteriore, è impregiudicato il suo diritto di agire per il risarcimento: in tale caso la somma corrisposta a titolo di indennizzo è detratta dall’ammontare del danno.
Qual è l’area di applicazione dell’indennizzo?
In primo luogo il “Decreto del fare” esclude il settore dei concorsi pubblici. In secondo luogo non è contemplato l’indennizzo nelle ipotesi di silenzio significativo della pubblica amministrazione. Quest’ultima esclusione si spiega agevolmente. Il silenzio significativo si ha quando la legge ricollega all’inerzia della pubblica amministrazione una precisa conseguenza, ossia l’accoglimento della domanda (silenzio assenso) o il rigetto (silenzio rigetto). Nel primo caso il cittadino non ha motivo di dolersi in quanto la sua domanda si intende accolta; nel secondo caso dovrà impugnare il silenzio rigetto dinanzi agli organi di giustizia amministrativa. In linea generale l’indennizzo è, comunque, dovuto solo nei procedimenti attivati ad istanza di parte. Il “Decreto del fare” prevede una fase sperimentale durante la quale l’indennizzo si applica solo ai procedimenti amministrativi relativi all’avvio e all’esercizio dell’attività di impresa iniziati successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto. Dopo diciotto mesi da tale data, un regolamento, sulla base del monitoraggio della applicazione concreta dell’indennizzo, disporrà la conferma, la rimodulazione, anche con riguardo ai procedimenti amministrativi esclusi, o la cessazione delle disposizioni in materia di indennizzo, nonché eventualmente il termine a decorrere dal quale le disposizioni relative sono applicate, anche gradualmente, ai procedimenti amministrativi diversi da quelli relativi all’avvio e all’esercizio dell’attività di impresa.
E’ agevole avvedersi che l’avvio dell’istituto è alquanto prudente: il legislatore si riserva addirittura la facoltà di abrogare l’istituto con un successivo regolamento. Tale impostazione sembra tradire il dubbio che la pubblica amministrazione sia effettivamente in grado di adeguarsi all’obbligo di tempestiva conclusione del procedimento amministrativo.
In ogni caso occorre aggiungere che il cittadino che voglia conseguire l’indennizzo è tenuto anche ad attivare nel termine perentorio di venti giorni dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento il potere sostitutivo previsto dall’art. 2 comma 9 bis della legge n. 241 del 1990. Tale ultima disposizione prevede che “L’organo di governo individua, nell’ambito delle figure apicali dell’amministrazione, il soggetto cui attribuire il potere sostitutivo in caso di inerzia. Nell’ipotesi di omessa individuazione il potere sostitutivo si considera attribuito al dirigente generale o, in mancanza, al dirigente preposto all’ufficio o in mancanza al funzionario di più elevato livello presente nell’amministrazione”.

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Fabio Strazzeri editor

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