La responsabilità penale negli infortuni sul lavoro

La responsabilità penale negli infortuni sul lavoro

 

Quale soggetto soggiace alle sanzioni penali nel caso di infortunio del lavoratore? Per rispondere a tale domanda occorre prendere le mosse dall’art. 40 secondo comma c.p., il quale fonda la responsabilità penale in materia di reati omissivi impropri o commissivi mediante omissione, disponendo che “Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. Tale norma considera responsabili i soggetti titolari della posizione di garanzia, ossia i soggetti che hanno l’obbligo giuridico di impedire l’infortunio del lavoratore.


In primo luogo viene ovviamente in considerazione il datore di lavoro, definito come “il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa” (art. 2 primo comma lettera b del d.lgs. 9 aprile 2008 n. 81, recante “Attuazione dell’art. 1 della legge 3 agosto 2007 n. 123 in materia di tutela della salute e della sicurezza dei luoghi di lavoro”) . L’obbligo giuridico di impedire l’evento in capo al datore di lavoro deriva in modo cristallino dall’art. 2087 c.c., a norma del quale: “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Nelle società di capitali in linea generale vi è la responsabilità di tutti i componenti il consiglio di amministrazione. La giurisprudenza ha affermato: “In un’impresa gestita da una società di capitali l’assegnazione degli obblighi in materia di infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro è in capo, indistintamente, a tutti i componenti del consiglio di amministrazione. In linea generale, infatti, il presidente del consiglio di amministrazione di una società di capitali non può da solo essere considerato rappresentante della società; la rappresentanza appartiene invece all’intero consiglio di amministrazione. Con un eccezione: l’approvazione da parte del cda di una delega conferita a un singolo consigliere o amministratore delegato che trasferisce l’obbligo di adottare le necessarie misure antinfortunistiche e di vigilare sulla loro applicazione dallo stesso cda al delegato. In capo al consiglio di amministrazione, a questo punto, rimane un generico dovere di controllo sul generale andamento della gestione e di intervento sostitutivo nel caso di mancato esercizio delle delega” (Cass. Sez. IV penale, sentenza 20 maggio 2013 n. 21628).
La responsabilità penale può, tuttavia, riguardare anche altri soggetti e, in particolare, i dirigenti e i preposti. Il dirigente è il livello di responsabilità intermedia ed è definito come “la persona che, in ragione delle competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa” (art. 2 primo comma lettera d del d.lgs. citato). Infine viene in considerazione il preposto, ossia la “persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa” (art. 2 primo comma lettera e del d.lgs. citato).
Vi è poi la figura del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, definito come la persona in possesso delle capacità e di specifici requisiti professionali previsti dalla legge, designata dal datore di lavoro, a cui risponde, per coordinare il servizio di prevenzione e protezione dai rischi (art. 2 primo comma lettera f del d.lgs. citato). La giurisprudenza non lo considera in linea generale titolare di una posizione di garanzia e, quindi, responsabile penalmente in caso di infortuni sul lavoro. In particolari casi, tuttavia, la giurisprudenza lo ritiene responsabile: “Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, che pure è privo dei poteri decisionali e di spesa (e quindi non può direttamente intervenire per rimuovere la situazione di rischio), può essere ritenuto responsabile del verificarsi di un infortunio, ogni qualvolta questo sia oggettivamente riconducibile a una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l’adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione” (Cass. Sez IV penale, sentenza 11 marzo 2013 n. 11492).
A determinate condizioni la responsabilità può essere trasferita ad altri. E’ il caso delle delega di funzioni, così disciplinata dall’art. 16 del d.lgs. 9 aprile 2008 n. 81: “La delega di funzioni da parte del datore di lavoro, ove non espressamente esclusa, è ammessa con i seguenti limiti e condizioni: a) che essa risulti da atto scritto avente data certa; b) che il delegato possegga tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate; c) che essa attribuisca al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate; d) che essa attribuisca al delegato l’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate; e) che la delega sia accettata dal delegato per iscritto”.
Nei casi concreti può accadere che per il medesimo evento lesivo debbano rispondere più soggetti a titolo di cooperazione nel delitto colposo in virtù dell’art. 113 c.p. a norma del quale: “Nel delitto colposo, quando l’evento è stato cagionato dalla cooperazione di più persone, ciascuna di queste soggiace alle pene stabilite per il delitto stesso”.
L’eventuale condotta imprudente del lavoratore non vale a escludere la responsabilità penale del datore di lavoro. Del resto in materia di concorso di cause la disciplina dell’art. 41 c.p. è assai rigorosa: “Il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione o omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l’azione od omissione e l’evento”. La giurisprudenza sul punto è chiara: “Sussiste la responsabilità penale del datore di lavoro nel caso di infortunio occorso al lavoratore, anche se la condotta di quest’ultimo è risultata imprudente, per avere fatto verosimilmente eccessivo affidamento sulla pregressa esperienza e sulla reiterazione delle stesse operazioni, allorché il datore abbia omesso di adeguare la macchina su cui è avvenuto l’incidente alle prescrizioni antinfortunistiche sopravvenute nel tempo e abbia altresì omesso di richiedere ai lavoratori l’osservanza delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza” (Cass. Sezione IV penale, 18 maggio 2011 n. 19555).
In tema di incidenza causale della negligenza del lavoratore in occasione d’infortunio sul lavoro occorre rilevare che il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore, e le sue conseguenze, presentino i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute (Cass. Sez. III penale, sentenza 24 ottobre 2011 n. 38209) Infatti in tali casi è ritenuto applicabile il secondo comma dell’art. 41 c.p., il quale prevede che: “Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento”.lavori

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Fabio Strazzeri editor

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